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sabato 20 settembre 2014

Funeral party



Gli ultimi quattro gradini del ponte e ho guadagnato le riva che si stende dietro l'abside del duomo. Una stola mi è svolazzata davanti al naso, svelando un crocifisso di legno. Un bacio casto e leggero, posato dal celebrante sulla guancia rigata di una signora. Era viola, la stola. E la signora, bianchissima. Neppure il tempo di dare forma al debito "accidenti" ed eccola lì, la bara. Di un bel noce, levigata, lucida. Scendeva piano verso il guscio della barca, guidata da abili Caronte silenziosi.
Dovevo fare la spesa. Trascinavo un carrettino blu e azzurro attraverso la piccola folla mesta, assembrata a pochi metri dal canale.
Mi sento sempre in enorme imbarazzo compiendo gesti quotidiani e sfacciatamente vitali durante un funerale. 
Ma l'impaccio, d'un fiato, è scomparso, travolto dall'orrore. 
Tre turiste orientali, cinesi o giapponesi o chissà di dove cavolo, sostavano accanto al ferale capannello. Indicavano la barca. E la bara. 
E ridevano
Ridevano, scattando foto ricordo.

Forse credevano che qui fossimo tutti immortali. O che facessimo a pezzettini i defunti e li schiaffassimo nei tramezzini dei bar di piazza San Marco. O che, in una città d'acqua, vigesse l'abitudine di scaraventare i trapassati dalle finestre, attendendo un salvifico splash.

Comprendo lo stupore per la particolarità del servizio funebre. Pur deglutendo un bolo di disgusto, arrivo quasi a capire la foto, ché a Quel Paese uno scatto simile desterà scalpore, probabilmente. Ma nella scomparsa definitiva di qualcuno, nelle lacrime degli astanti, nella compostezza dei becchini, che ci sarà mai, di tanto esilarante?
Avrei voluto schiaffeggiarle. O correre a casa loro e danzare su tutte le sacre olle cinerarie, le lapidi, i roghi catartici.
Non l'ho fatto. Mi chiudeva la Coop.

E comunque è vero, sono la solita polemica: magari quelle tre scimmiette sghignazzanti provenivano davvero dalla Terra di Mezzo; non erano mancanza di rispetto, immoralità, idiozia, le loro. 
Semplicemente, non potevano capire. 
Ché, i cinesi, non muoiono mai.