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giovedì 10 aprile 2014

A forma di cane




L’ho scelta perché era in una gabbia di due metri per tre. Occhi grandi e lunghe leve, se ne stava zitta in un angolo, circondata da altri esemplari minuscoli e ringhiosi. Era di una magrezza imbarazzante; le si potevano contare le ossa del costato a distanza. Era l’unica a somigliare al mio ideale cinomorfo: un cane a forma di cane. Nera, taglia media, niente eccessi epiteliali, orecchi a strascico, coda mozzata o lingua blu. E, dato fondamentale, muso e sedere perfettamente distinguibili, in quel corpo sottile e nervoso. Aveva circa sei mesi. Così mi dissero, al canile, nove anni fa.
Volevo avesse un nome breve e vitale. La chiamai Zena. Un’eco ellenica e quel tanto di Svevo.
Festeggiamo il compleanno insieme. Torta per me, un ossobuco per lei. 

Il piccolo, interrogato sulla propria famiglia, suole rispondere che, qui, siamo in quattro: lui, mamma, papà e La Zena; e poco importa che, i più, si convincano che Il Topo abbia una sorellina segregata nell’armadio. Dopo cena, infilati nei pigiami e a denti lindi, cantiamo la canzone della buonanotte, storpiando inquietanti faccende di befane e uomini neri, e La Zena è tra i primi cari - destinatari dell’adorato moccioso - a essere nominata.
Quando Il Topo cominciò a frequentare l’asilo, la casa mi apparve improvvisamente vuota: silenziosissima, troppo ampia. Ma Zena sorvegliava le mie uscite e i miei rientri, lappava l’acqua fresca dalla ciotola, zompettava goffamente tra la sala e la cucina, improvvisando spericolati slalom tra le mie gambe. Pareva voler allestire un buffo teatro per farmi sapere che “Oh, bipede cosa lunga! Io sono qui, eh! Mica potrai appellarti a una solitudine inesistente!”

Ora, non si regge sulle zampe. Cerca di raggiungere la porta per sfoggiare, come ha sempre fatto, il consueto campionario di feste; ma scivola, derapa, si affrittella a terra. In quegli occhi sembra di leggere la contrizione. Forse è dolore, ed è impossibile averne conferma, ché non è canide da guaiti sofferenti; forse è frustrazione, per una dignità offesa tanto odiosamente.

Primo veterinario e primo salasso economico. Secondo veterinario (Lo Specialista) e secondo salasso. Di nuovo primo veterinario, per gli esami del sangue e terzo salasso. Entrambi i medici annunciano un’incombente quanto necessaria risonanza magnetica. E sarà il quarto, inarrivabile salasso.

C’è chi mi chiede se io sia pazza: “Tutti quei soldi per un cane?”
Io mi volto, faccio spallucce e invoco tutti gli dèi della sacra pazienza. In fondo, il dubbioso di turno ignora per definizione, no? Non sa che, questo, non è un quadrupede qualsiasi.
La Zena è una di noi: un cane a forma di cane.