Schifo di anno! Se n’è andato pure Accolla. Epporcocane, porco.
Mia madre ha sempre cianciato di parentele sicure, con il marchio Doc, ma non si è mai capito quale ramo della famiglia allungasse le propaggini verso di lui. Forse un secondo o terzo nipote dello zio Pino, cognato di nonna; o magari un cugino della nuora della sorella di Vattelappesca. Non importa. A me l’ipotesi, per quanto remota o evanescente, galvanizzava comunque. Appartenere - più o meno - allo stesso ceppo di una delle voci nazionali più poliedriche, multiformi, modellabili, faceva sperare di riuscire a entrare, in un qualche futuro stellato, nell’incantevole universo del doppiaggio. E d’accordo che siamo in Italia, ma mi riferisco alla genia (o, per lo meno, alla contiguità); non ai soliti, familiari favoritismi.
Non è perché detesto poche cose al mondo quanto guardare un film sottotitolato. Né perché, quando lo incontrai, mentre le mie corde vocali - reduci dai corsi di ortoepia e pronuncia - si strizzavano intorno al refrain per uno spot di articoli sportivi lui, oltre il vetro isolante piantò un “Ok” con il pollice a mezz’aria. Passava da quelle parti e non negò un mimo d’incoraggiamento all’attempata novellina chiusa nell’imbottitura dello studio.
Il fatto, semplicemente, è che Tonino era il migliore.
Che il “Doh!” piagnucolato da Homer Simpson di fronte alla scatola vuota delle ciambelle, da oggi, suonerà alieno.
Che i suoi redazionali, piani e mai noiosi, si riconoscevano a un chilometro di distanza.
Che lasciamo perdere Tom Hanks, Kenneth Branagh, e il resto della compagnia recitante. Avete presente Eddie Murphy? Continuerà a sghignazzare, mostrando le sue infinite centinaia di denti in qualche dirigibile, digeribile, digitale americanata.
Con la voce di un altro.
E io non so immaginare chi avrà in sé quel corposo bolo di gioia capace di avviare, nella mia lingua, l’esilarante contagio.