non leggere









giovedì 21 marzo 2013

Ciao ciao, Pietro


Molto prima di Forrest Gump, prima di “stupido è, chi lo stupido fa” e di “sono un po’ stanchino”, io correvo. Era il 1986 e lo Squadrone della quinta elementare era composto quasi esclusivamente da maschi. Quasi. Non avevo leziose trecciuole infiocchettate, né gonne plissettate, né camicie rosa a far capolino da sotto il grembiule inamidato. Io, il grembiule, non lo mettevo mai. Finiva appallottolato nella cartella un minuto dopo il trillo della campanella d’ingresso. 
A ricreazione, mentre le femmine - glauche, acconciate e ricamate - giocavano a mamma-casetta sotto il pesco, lo Squadrone guadagnava il margine del cortile, pronto a tagliare l’asfalto a tutta velocità. C’erano Carlo, Mario e Sandro; qualche volta Davide, Stefano ed Emanuele. Andrea era troppo alto, ma ci provava lo stesso. E poi c’ero io. Pantaloni da battaglia, il muso di Topolino sulla T-shirt, zazzera appena sopra gli orecchi e scarpe da ginnastica. Grigie e con lo ssstrap, Così, se serve, te le togli in un secondo, diceva mio padre. All’immaginario nastro di partenza eravamo tutti uguali. Magri-grassi-alti-bassi-pallidi-scuri-timidi-spaccamondo. 
E maschi. E una femmina che sapeva arrampicarsi sugli alberi.
Poi qualcuno fischiava e la corsa aveva inizio. Si arriva fino alla rete verde e si torna indietro: il primo che tocca questa macchia a forma di patata, vince la gara!
Mandria di piccoli bisonti. Scalpiccio. Fiatoni. Grida guerriere.
Io non riuscivo a tenere ferma la lingua. La spostavo freneticamente da sinistra a destra e viceversa, tra le labbra a fessura. Forse il mio motore era lì. Corri!, ripetevo, Corri e non pensare a niente. Non alla milza dolente, non alla gola asciutta, non al calzino con il buco che strozza l’alluce, non al compagno che sta gridando Cavoli! Va come Mennea!
Raggiunta la chiazzapatata, in debito d’ossigeno, finivo puntualmente sulle ginocchia. 
Non vincevo sempre e poco m’importava. Quelli, erano i migliori diecimetristi da Squadrone dell’universo. Perché non si limitavano a includermi nel branco con tutta la naturalezza della bonomia infantile; grazie a loro era gioia allo stato brado, quella che risaliva dai polpacci agli zigomi. 

Credo non lo abbiano mai capito, i ragazzi, quanto mi facessero sentire dio, quando mi chiamavano Pietro.


sabato 16 marzo 2013

La Zecca preferisce il cane




In un mondo parallelo a questo, c’erano una zecca e un gatto annoiato. La zecca faceva la zecca: succhiava il sangue per i fatti suoi, placida e beata. Il gatto, fingendo bonomia, desiderava avvicinarla, per arginare il tedio della propria esistenza, ma quella pareva sorda e cieca. In realtà, l’ematofaga conosceva bene quel bolso felino spelacchiato e non aveva intenzione di dargli corda; ché errare è acaro, perseverare è da idioti.
Bolso Felino le inviava lettere, commentava le notizie che la riguardavano, cercava d’infilarsi tra i pelami prediletti di Zecca, ma non c’era verso: continuava a essere bellamente ignorato, bloccato, rifiutato. E, uno come lui, mica poteva subire una tale onta senza reagire! Cominciò a insultarla pubblicamente, sottolineandone l’innegabile bruttezza fisica, citando film preziosi a casaccio, per farle torto (lei era una cinefila), prendendosela con il suo ambiente (lei era una cinofila), accusandola di essere di facili costumi (una zecca zoccola?!). Ma Zecca fece spallucce, per l’ennesima volta. Una riflessione, per un breve istante, le passò per la testa: considerata la progenie, avrebbe proprio dovuto consultare la madre di Bolso Felino; la Signora Micia, di certo, avrebbe potuto fornire numerose dritte, per affinar l’arte più antica. Sai com’è, in tempi di crisi...
Ma quel pensiero fu tosto ricacciato nell’ombra, ché Zecca aveva cose ben più importanti cui dedicare il proprio tempo: un’ottima cineteca, un habitat delizioso, un diario da aggiornare. Privatissimo.

giovedì 14 marzo 2013

Guru




Mi si è aperto un mondo: un sostantivo, un aggettivo stropicciato, e i miei piedi virtuali fermi lì, a un millimetro dal baratro. Chrome, poi Google, click sulla banda di ricerca, “frasi+motivazionali”, enter. 
Ah, però! Siti specifici, testi acrobatici, sguardi magnetici a profusione. Chi l’avrebbe mai detto?! Ci sono un sacco di illuminati che, per professione, fanno i life-coach (eh?!), i guru-telematici, i consiglieri delle dive. Pare anche che guadagnino dignitosamente, questi strani personaggi. Be’, d’accordo, “dignitosamente” non è l’avverbio più consono alle suddette attività, ma chiudetelo, quell’occhio bizzoso!
Un tizio, per farla breve, dopo aver passato buona parte del proprio tempo a spulciare raccolte di aforismi, aver effettuato una gioiosa cernita a caccia dei potabili, aver memorizzato il nome di ogni autore più o meno celebre, corre ad acquistare un bel gessato. Una puntatina dal barbiere, una dal dentista per lo sbiancamento degli incisivi, et voilà!, Tizio si trasforma in un Esperto di Qualcosa. Fascinosissimo. Scafatissimo. Tutto certezze, bicchieri mezzi pieni e pollici sollevati che manco Fonzie.
Un numero impressionante di aziende ricorre a questi Tizi. Spesso, addirittura, si utilizzano i loro servigi per formare altri Tizi. Gli allievi Top, i migliori, con una bella medaglia sul risvolto della giacca e un diplomino con su scritto “Automotivato Certificato” finiscono per dirigerle, le aziende. Perché hanno capito che la vita è bella, che la-mia-casa-è-la-tua-casa, che non conta quante volte cadi ma quante ti rialzi, e via cianciando.
I Tizi di seconda generazione, rampanti e sorridenti quanto basta, sembrano essere convinti che, al mondo, non esistano che Tizi come loro. 
Forse è per questo che si sentono in dovere di prodigarsi, di darsi al proselitismo. 
Forse è per questo che spulciano libri pieni di aforismi. 
Forse è per questo che si concedono un lessico approssimativo.
Forse è per questo che spiegano ad altri, spappagallando i maestri-Tizi, come fare ciò che loro stessi evitano come la peste bubbonica.
Forse è per questo che camminano così impettiti, nel tragitto porta-poltrona, mentre ti raccontano che la ramazza è fondamentale, per rimanere eretti; o che i negri hanno la musica nel sangue, specie quando non ci sono più le mezze stagioni, ché si stava meglio quando si stava peggio.

Be', forse.

O forse hanno soltanto una scopa nel culo.