non leggere









giovedì 19 luglio 2012

Inno alla ghiandola




Il supermercato è uno specchio perfetto dei tempi che corrono. Al reparto cosmetici, intere file di braccia metalliche, sottili e cornute, sorreggono ogni ben di dio. Eccole, appese come foglie morte, le solette all’eucaliptolo; giusto un palmo sopra i barattoli di talco del Dottorsciòl, circondati da infinite scatoline di podologici antimicotici e antibatterici. Altre due gracchiate di carrello e ci si ritrova di fronte all’immancabile parata di dentifrici sbiancanti, contro la carie, il tartaro, le gengive retrattili, l’alito mefitico. Se siete donne, vi tocca persino il tour verso l’angolo del pianto, cui dovete recarvi in pellegrinaggio almeno una volta al mese. Lì, ravanerete tra pacchi da dieci, dodici o quattordici tamponi, micro-forati, alveolati, con o senza ali, piccoli, medi, lunghi, extra-flusso - che ci sono ma scompaiono - esterni, interni, con cavatappi, sintetici, ripiegati o distesi e, direttamente dall’ultima frontiera delle scienze assorbenti, dotati di naturactive, dispositivo per il controllo dell’odore (e non si tratta di una minuscola guardia armata da piazzare negli slip). 
Pur non essendo ancora prede, fortunatamente, della sindrome pre-mestruale, potreste comunque avere una questione aperta con le vostre ghiandole sudoripare e aggirarvi, schiave dell’ultimo spot o delle sempiterne pippe bio, nell’area più pericolosa del negozio: la profumeria. Allume di potassio - in grani, blocchetto di pietra, spray - per le fricchettone con la borsa di tela; Altolà-al-sudore per le potenziali vittime di rapina, sempre a braccia alte e ascelle escalamtive; creme anti-traspiranti per chi, i liquidi, vuol tenerseli tutti per sé; nebulizzatori rispettosi dell’ozono per le amanti della natura, ostili agli erogatori troppo aggressivi.
È estate, ci sono quaranta gradi all’ombra e un’afa da bagno turco, ma l’imperativo resta uno solo: vietato puzzare. Gli umori corporali vanno banditi, sepolti, messi alla berlina, ché mica viviamo ancora nelle caverne, per Diana! La prova olfattiva va superata a ogni costo, e guai a voi, se vi si becca con un qualsivoglia alone umidiccio sulla camicia!
Ebbene: dovrebbe esserci una sostanziale differenza tra igiene e follia. O no?
Vi svelerò un segreto. Esiste una cosa magnifica chiamata sapone. Si usa mischiandolo all’acqua e detergendo la pelle abbondantemente. In giro per il pianeta - ci credereste?! - ne esistono interi alberi. Se ne farete uso quotidianamente potrete affermare, senza tema di smentita, di essere mondi, lindi, puliti. Per il resto, fatevene una ragione: siamo esseri umani, fatti per il per settanta per cento di acqua, pieni di denti, piedi, interni-coscia, sebo sul cuoio capelluto. E pare che sudare, per ora, non sia reato.

martedì 3 luglio 2012

Aspirazioni




Com’è liberatoria, la semplicità di alcune parole. In particolare, amo quelle immerse nella funzione che rappresentano, capaci di preservare i dizionari etimologici da pieghe moleste e dita umettate, e in grado di accoppiarsi con altre a loro simili, germogliate sotto il medesimo, salvifico raggio solare. Ecco l’acchiappa-farfalle, il pungi-topo, la lava-asciuga, i perdi-giorno. Probabilmente è tra queste ultime lettere che preferisco sostare. Testa svaporata, iridi vacue, sovra-pensiero latente adagiato su qualche particolare apparentemente insignificante, quotidiano, silenzioso. 
Nella piccola stanza da bagno del piano di sotto non c’è la vasca; neppure il piatto doccia, se è per questo. Ricavato da un sotto-scala, questo spazio è una piramide sbilenca, ma confortevole. Raccoglie i pensieri della sera e gli sbadigli dell’alba. 
Accanto alla tazza, come un fungo, si erge il lavandino. Quasi piatto, minuscolo, bianchissimo (be’, non proprio sempre). Appeso sull’alzata di un gradino di legno, un ampio porta-bicchiere abbraccia, in realtà, un phon color malva. Una mensola d’abete, smaltata di nero, sorregge spazzolini, dentifricio, filo interdentale, lo smeraldo del colluttorio, deodoranti per lui e per lei, l’immancabile confezione di stecchini pulisci-orecchi. La schiena contro le piastrelle antracite della parete opposta, smilzo e glauco, il termo-sifone a tre elementi sonnecchia, ben protetto da un copri-capo umido di spugne abrasive e lucidanti. Ai piedi, invece, sbavato di blu, il gel disinfettante pare un soldato appena rientrato nella seconda linea, vivo per miracolo.
Stamattina niente Settimana Enigmistica, nel momento del bisogno. Ho le palpebre a mezz’asta. Dormito male. Incubi. Caldo-freddo-caldo-freddo ad libitum. E i gabbiani, prima del sorgere del sole, a cincischiare e gracchiare e svolazzare e sbecchettare, così forte da svegliare l’intero vicinato. Saranno riusciti ad aprire il solito sacco del pattume pieno di leccornie semi-ammuffite (i pennuti, non i dirimpettai).
Dicevo: caselle bianche, caselle nere, cornici concentriche e ghilardate? Nel cassetto. Sclere arrossate, pupille fuori fuoco, ciglia impastate dall’elisir di Morfeo, non potrei leggere, neppure a mo’ di tortura. L’occhio però, appannato e liquido, riesce comunque a cadere ad altezza pavimento. Anzi, un po’ più su, a dire il vero: un grosso, lucido scarafaggio meccanico giace immobile a terra. Un insetto rosso scuro, dalla lunga proboscide argentata che termina in una mono-narice gigante, nera, piena di vibrisse prensili. L’ho presa dell’Ariete, stavolta. Avevo un buono-sconto da spendere nel negozio in cui lavoro. Mi serviva proprio; ne è testimone la scopa scapigliata che, dall’ameno angolo di sua proprietà, mi guarda in tralice da anni.
Aspira-polvere. Ah, adorato assemblaggio di ventole e filtri e tubi e ruote e cavo avvolgibile e presa tedesca! 
Questa casa, palafitta meravigliosa con le zampe affondate nella laguna veneziana, trasuda sale e colleziona micro-particelle volatili più sottili del pm10, ma più numerose dell’intera popolazione mondiale. Senza aspira-polvere mi sentivo persa, sommersa da mute canine, pollini, pelucchi. 
Che poi, l’aspira-polvere è un lui o una lei? Inizia per “a” quindi l’articolo indeterminativo non aiuta, ché l’apostrofo se non c’è, non c’è; ma se c’è, s’infratta! «Per cortesia, mi saprebbe indicare un(’)aspira-polvere davvero potente?». È un elettro-domestico! Sarà maschio! D’accordo, ma se ci limitassimo al fatto che è una macchina, non scatterebbe l’attraversamento del valico di genere? 
Non se ne esce. In ogni caso, io l’ho sempre considerata femmina, forse perché raramente l’ho vista usare da un essere umano appartenente al sesso forte. La mia, di sicuro, ha l’apostrofo rosa.
Quando è accesa, fa il suo dovere a meraviglia: spazza, risucchia, fagocita, digerisce. Non è neppure schizzinosa! Briciole di mattoni, capelli, persino ragni o altri cosi non meglio identificati, dotati di troppe zampe per somigliare a noiosi bipedi o a scodinzolanti quadrupedi. Finito il lavoro, torna qui nel sottoscala, a fingersi morta.
La guardo. Qualcosa non torna. Osservo più intensamente, remando contro le cispe. Non è poi così lucida. Per carità, il colore vivace, là sotto, c’è ancora, ma appare velato, offeso. Sull’aspira-polvere si è formato uno spesso, soffice, grigissimo strato di sozzura. Di limpido è rimasto solo il manico o, per lo meno, la porzione di plastica definita dall’impronta delle mie dita.
Si possono fare ragionamenti pseudo-filosofici, al cesso e, per di più, di buona mattina? Il medium grazie al quale superfici orizzontali e verticali di questo posto sono linde è lurido. Fa fatica, s’ingolfa il mono-polmone, scalda le stanze - più di una stufa a gas - per liberare tutto da immondi depositi, e lei? Sporca da fare orrore. È così che va. Le aspirazioni costano, che vi credete?! Una logica da ossimoro, un destino infame; ma l’aspira-polvere è come uno Zero Negativo: dona a tutti, ma può ricevere solo da un suo simile. 
Due strappi di carta igienica. Sciacquone. Tavoletta giù. Spazzolino. Gargarismi. Sputo. Prelevo dal copri-capo del termo-sifone la spugna verde, quella morbida a nido d’ape. Apro il rubinetto. Lavo, strizzo e accarezzo. Lavo strizzo, accarezzo. Lavo, strizzo, accarezzo.
Torna come nuova.
Io sono uno Zero Positivo. Non mi sarei mai messa carponi a sniffarle la schiena. E non ho neppure la proboscide, lo dico per amor di precisione.
Ma è l’alba. L’inizio anomalo di un giorno nuovo. Il primo giorno in cui, all’improvviso, ho scoperto di essere una monda-aspira-polvere.